La Principessa Brambilla
da Callot a Andrich
16 dicembre 1969 – 10 gennaio 1970
Orario 10 12.30 ; 15.30 -20
“DANTESCA”
Galleria d’Arte – Piazza Carlo Felice,19 - Torino
Il secondo capitolo della Principessa Brambilla comincia
così “Tu non devi adirarti , o amato lettore, se colui il quale a intrapreso a
narrarti la storia avventurosa della Principessa Brambilla così come l’ha
trovata accennata negli arditi disegni di Mastro Callot, non devi adirarti se
egli pretende che tu accetti tutto il meraviglioso che troverai fino all’ultima
pagina del libretto, o addirittura che tu in parte ci creda”
Non conosco altra opera narrativa il cui autore abbia
così esplicitamente dichiarato di essere debitore dell’invenzione a un pittore.
Ma il libro di Hoffmann è il nodo centrale di una rete molto intricata. Se la
fonte dichiarata della sua ispirazione sono le maschere incise da Callot,
quella reale, o almeno la più immediata, è la descrizione del carnevale romano
nel Viaggio in italia di Goethe, dal quale Hoffman, che non conobbe, mai Roma,
ricavò la fantastica pianta della città, ridotta a la via del Babuino, Piazza
di Spagna, via Condotti, San Carlo al
Corso, il Caffè Greco, il Teatro Argentina.
Altri fili più sottili collegano la fantasia di
Hoffmann all’italiana Commedia dell’Arte e alle fiabe di Carlo Gozzi; così come
più tardi un filo collegherà Offenbach ad Hoffmann, contribuendo a diffonderne,
attraverso il fascino di una musica capricciosa, la fama nel bel mondo del
terzo Impero.
Mario Fògola, stampando La Principessa Brambilla
illustra con le riproduzioni della serie completa dei balli “Balli di
Sfessania” di Callot e con le acquetinte originali, espressamente incise da
Lucio Andrich, e presentandole in questa mostra, accanto alle incisioni dei due
artisti un gruppo di studi e di tempere di Andrich, offre a Torino un esempio
di lavoro culturale perseguito con continuità e con un scrupolo oggi raro.
Sono passate tante generazioni dal tempo in cui di
carnevale ci si metteva in maschera, che non riusciamo più ad immaginare quale
fu l’influenza della maschera sulla società e sulla psicologia dei semplici.
L’uscire mascherati di carnevale doveva essere come il partecipare ad uno di
quei riti liberatori, ai quali oggi possono partecipare solo gruppi di
giovanissimi, come i duecentomila hippies che si riunirono quest’estate
nell’isola di Wight. Ma la maschera non nascondeva solamente l’identità della
persona, ma anche il sesso e l’età. Soprattutto l’età. La maschera di
cartapesta celava almeno per un giorno, quell’altra maschera che non si
può togliere e che trasforma giorno dopo giorno, agli occhi degli altri, un
giovane in un vecchio. Mascherarsi poteva anche essere un modo per rivelare il
proprio carattere più autentico, quello che non si ha il coraggio di svelare
nei contatti quotidiani.
Callot
è un artista barocco, quindi freddo, staccato dal soggetto che rappresenta.
Disegna con lo stesso spirito le miserie della guerra, uomini torturati,
pezzenti e maschere in festa. Il suo segno è sottile come un capello, tagliente
come un rasoio. Le figure sono sempre in piena luce, una luce accecante, di
sole meridionale. Le ombre sono brevi, nette, senza modulazioni. Le ampie vesti
si gonfiano, sollevate da un vento ancora berniniano.
Nel capriccio di Hoffmann, artista che scrive in pieno
romanticismo, il mondo di Callot, delineato con tanta fermezza, comincia a
turbinare a ritmo velocissimo; le persone perdono la loro identità, si
scambiano le parti, si sovrappongono le une alle altre. “Celionati è il
principe Bastianello di Pistoia, Ruffiamonte è il mago Ermodio, Giglio e
Giacinta sono il principe Cornelio e la principessa Brambilla, il giardino di
Urdar, è la casetta borghese ove fiorisce la loro felicità” (dal saggio
introduttivo di Claudio Magris).
Andrich, artista dalla fantasia nordica, ha tratto dal
libro di Hoffmann il suggerimento per una serie di sottili variazioni, che
toccano a volte il limite dell’astratto, sul tema delle maschere e dei
travestimenti carnevaleschi. Un modo attuale il suo di vedere e di non
riconoscere. L’allegra confusione del libro diventa, nell’interpretazione del
pittore, un problema interiore. La maschera da travestimento si fa simbolo.
Le acquetinte di Andrich sono a due o tre colori:
bruno e giallo, bruno e azzurro, bruno rosso e giallo. Il valore emblematico
delle immagini è accentuato dalla precisa delimitazione dei contorni, ottenuta
tagliando la lastra lungo il profilo del disegno. Carlo M. De Paola,
presentando nel gennaio del 1968 alla “Dantesca” una mostra di acquetinte “del
montanaro agordino” – ma già professore a Venezia- scriveva: “A me pare che
l’interesse e la forza della personalità di Andrich riposino appunto in questa
sua profonda necessità di comporre la figura e di metterne in discussione la
validità nell’atto stesso della composizione, di investire l’immagine di un
valore simbolico e di ribellarsi all’angustia e all’univocità del messaggio”.
Osservazioni ancora oggi utilissime per comprendere
queste incisioni, che hanno il sottile fascino di tutte le forme enigmatiche.
Come le maschere, nascondono un segreto, che sempre ti illudi di afferrare e
che continuamente ti sfugge.
Renzo Guasco
OPERE ESPOSTE
BALLI DI SFESSANIA – 24 incisioni di
JACQUES
CALLOT
(1592-1635) dalle quali Hoffmann trasse lo
spunto
per La Principessa Brambilla,
presentante nel
primo
stato a Nancy.
TEMPERE e CHINE di LUCIO ANDRICH ispirate
dalla
lettura della Principessa Brambilla
Nessun commento:
Posta un commento