domenica 6 settembre 2015

Critica di Renzo Gruasco su La Principessa Brambilla da Callot a Andrich



La Principessa Brambilla
da Callot a Andrich


16 dicembre 1969 – 10 gennaio 1970
Orario 10 12.30 ; 15.30 -20


“DANTESCA”
Galleria d’Arte – Piazza Carlo Felice,19 - Torino


Il secondo capitolo della Principessa Brambilla comincia così “Tu non devi adirarti , o amato lettore, se colui il quale a intrapreso a narrarti la storia avventurosa della Principessa Brambilla così come l’ha trovata accennata negli arditi disegni di Mastro Callot, non devi adirarti se egli pretende che tu accetti tutto il meraviglioso che troverai fino all’ultima pagina del libretto, o addirittura che tu in parte ci creda”
Non conosco altra opera narrativa il cui autore abbia così esplicitamente dichiarato di essere debitore dell’invenzione a un pittore. Ma il libro di Hoffmann è il nodo centrale di una rete molto intricata. Se la fonte dichiarata della sua ispirazione sono le maschere incise da Callot, quella reale, o almeno la più immediata, è la descrizione del carnevale romano nel Viaggio in italia di Goethe, dal quale Hoffman, che non conobbe, mai Roma, ricavò la fantastica pianta della città, ridotta a la via del Babuino, Piazza di Spagna, via Condotti,  San Carlo al Corso, il Caffè Greco, il Teatro Argentina.
Altri fili più sottili collegano la fantasia di Hoffmann all’italiana Commedia dell’Arte e alle fiabe di Carlo Gozzi; così come più tardi un filo collegherà Offenbach ad Hoffmann, contribuendo a diffonderne, attraverso il fascino di una musica capricciosa, la fama nel bel mondo del terzo Impero.
Mario Fògola, stampando La Principessa Brambilla illustra con le riproduzioni della serie completa dei balli “Balli di Sfessania” di Callot e con le acquetinte originali, espressamente incise da Lucio Andrich, e presentandole in questa mostra, accanto alle incisioni dei due artisti un gruppo di studi e di tempere di Andrich, offre a Torino un esempio di lavoro culturale perseguito con continuità e con un scrupolo oggi raro.
Sono passate tante generazioni dal tempo in cui di carnevale ci si metteva in maschera, che non riusciamo più ad immaginare quale fu l’influenza della maschera sulla società e sulla psicologia dei semplici. L’uscire mascherati di carnevale doveva essere come il partecipare ad uno di quei riti liberatori, ai quali oggi possono partecipare solo gruppi di giovanissimi, come i duecentomila hippies che si riunirono quest’estate nell’isola di Wight. Ma la maschera non nascondeva solamente l’identità della persona, ma anche il sesso e l’età. Soprattutto l’età. La maschera di cartapesta celava almeno per un giorno, quell’altra maschera che non si può togliere e che trasforma giorno dopo giorno, agli occhi degli altri, un giovane in un vecchio. Mascherarsi poteva anche essere un modo per rivelare il proprio carattere più autentico, quello che non si ha il coraggio di svelare nei contatti quotidiani.






Callot è un artista barocco, quindi freddo, staccato dal soggetto che rappresenta. Disegna con lo stesso spirito le miserie della guerra, uomini torturati, pezzenti e maschere in festa. Il suo segno è sottile come un capello, tagliente come un rasoio. Le figure sono sempre in piena luce, una luce accecante, di sole meridionale. Le ombre sono brevi, nette, senza modulazioni. Le ampie vesti si gonfiano, sollevate da un vento ancora berniniano.

Nel capriccio di Hoffmann, artista che scrive in pieno romanticismo, il mondo di Callot, delineato con tanta fermezza, comincia a turbinare a ritmo velocissimo; le persone perdono la loro identità, si scambiano le parti, si sovrappongono le une alle altre. “Celionati è il principe Bastianello di Pistoia, Ruffiamonte è il mago Ermodio, Giglio e Giacinta sono il principe Cornelio e la principessa Brambilla, il giardino di Urdar, è la casetta borghese ove fiorisce la loro felicità” (dal saggio introduttivo di Claudio Magris).
Andrich, artista dalla fantasia nordica, ha tratto dal libro di Hoffmann il suggerimento per una serie di sottili variazioni, che toccano a volte il limite dell’astratto, sul tema delle maschere e dei travestimenti carnevaleschi. Un modo attuale il suo di vedere e di non riconoscere. L’allegra confusione del libro diventa, nell’interpretazione del pittore, un problema interiore. La maschera da travestimento si fa simbolo.
Le acquetinte di Andrich sono a due o tre colori: bruno e giallo, bruno e azzurro, bruno rosso e giallo. Il valore emblematico delle immagini è accentuato dalla precisa delimitazione dei contorni, ottenuta tagliando la lastra lungo il profilo del disegno. Carlo M. De Paola, presentando nel gennaio del 1968 alla “Dantesca” una mostra di acquetinte “del montanaro agordino” – ma già professore a Venezia- scriveva: “A me pare che l’interesse e la forza della personalità di Andrich riposino appunto in questa sua profonda necessità di comporre la figura e di metterne in discussione la validità nell’atto stesso della composizione, di investire l’immagine di un valore simbolico e di ribellarsi all’angustia e all’univocità del messaggio”.
Osservazioni ancora oggi utilissime per comprendere queste incisioni, che hanno il sottile fascino di tutte le forme enigmatiche. Come le maschere, nascondono un segreto, che sempre ti illudi di afferrare e che continuamente ti sfugge.

Renzo Guasco


OPERE   ESPOSTE

BALLI DI SFESSANIA – 24 incisioni di JACQUES
CALLOT (1592-1635) dalle quali Hoffmann trasse lo
spunto per La Principessa Brambilla, presentante nel
primo stato a Nancy.

TEMPERE e CHINE di LUCIO ANDRICH ispirate

dalla lettura della Principessa Brambilla

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